martedì 2 aprile 2013

La fine dell'altro mondo


Tra possibile e impossibile di certo talvolta siamo artefici assoluti della nostra stessa
degenerazione. D’altra parte l’esperienza narrativa del reale può essere tutto, denuncia, tristezza, satira. O sasso nello stagno.
Quello di Filippo D’Angelo è un romanzo d’esordio piuttosto forte, in stile e carica elettrica. Perché La fine dell’altro mondo è la rappresentazione di un fallimento senza troppe metafore.
Il protagonista, Ludovico Roncalli è un giovane di famiglia alto-borghese, annoiato dai coetanei, disgustato dal mondo dell’elite culturale nazionale, affascinato dalla fantasia di un rapporto incestuoso con la sorella, in piena deriva di alcool e autoerotismo di disperazione. Quando si metterà sulle tracce di un libro dal finale perduto, un romanzo utopico di Cyrano de Bergerac, inseguirà la fine possibile come se la letteratura potesse essere il suo riscatto professionale e umano. Purtroppo la vicenda si svolge a Genova l’estate del G8 che, con la sua follia, travolge la città e il progetto di Ludovico.
E’ evidente che Ludovico si scaglia contro la sua generazione e quella dei suoi genitori, contro il sistema politico e accademico, contro la disfatta della famiglia “moderna” e la sfibrata verità sociale del nostro tempo. Lo è altrettanto la convinzione di sfiducia senza appello, aspetto che forse si allontana da qualsiasi speranza di incitamento a qualche ribellione culturale. Può essere un limite ma è anche interessante. Tutto sommato proprio la ferocia, nuda, può colpire nel segno e scuoterci. Talvolta poi è un atto di coraggio già la consapevolezza…
Linguaggio complesso per un libro tragicomico che presenta un autore con tratti molto incisivi. Tema scottante, naturalmente. 

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